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C’è uno strano mito nella cultura popolare che circonda la nozione di morire giovani. James Dean era un fan della frase “dal vivo veloce, muore giovane e ha un cadavere di bell’aspetto”, e si è rivelato profetico quando è morto in un relitto per auto all’età di soli 24 anni. Nel mondo della musica, Mott ha aperto “tutti i giovani tiri” con riferimenti al suicidio (“Non voglio rimanere in vita quando sei 25”) e l’infamo “27 club” – Una collezione non ufficiale di personaggi famosi che sono morti all’età di 27 anni – presenta illustri star del rock ‘n’ roll come Jimi Hendrix, Amy Winehouse, Janis Joplin e Kurt Cobain. È uno strano mix di tragedia e romanticismo, ma in realtà fa schifo morire a qualsiasi età, specialmente quando sei nel pieno della vita. L’autore vincitore del premio Nobel Kazuo Ishiguro ha affrontato quell’argomento da un angolo molto diverso nel suo romanzo straziante “Never Let Me Go”, che è diventato un film di fantascienza sottovalutato scritto da Alex Garland.
Il libro di Ishiguro è stato pubblicato per la prima volta nel 2005, meno di 10 anni dopo che Dolly the Sheep ha fatto notizia diventando il primo mammifero clonato con successo. È stata l’unica dei 277 tentativi che è diventato alla nascita e ha vissuto solo a sei anni, che era metà dell’aspettativa di vita della sua razza particolare. La svolta ha preso la clonazione dalla fantascienza alla realtà e ha sollevato molte preoccupazioni etiche, in particolare sulla questione se gli scienziati potessero (o dovrebbero) replicare mai gli esseri umani.
Ishiguro Dolly da nome Quando parla dell’inizio di “Never Let Me Go”, in cui ha adottato un approccio cupo e lo-fi a una storia distopica sulla clonazione di umani per la raccolta di organi. Non è molto uno spoiler perché Elegante adattamento di Mark Romanek 2010 (Lavorare da una sceneggiatura di Garland) regala il mistero molto presto. Invece, la sceneggiatura di Garland si concentra maggiormente su come i tre giovani protagonisti della storia hanno fatto i conti con il loro destino preordinato e cercano di sfruttare al meglio il loro tempo assegnato. È una delle opere più personali di Garland, forse derivanti dalla sua amicizia con l’autore. La coppia discuterebbe dei temi durante il pranzo durante il processo di scrittura di Ishiguro e Garland ha letto il romanzo in una fase molto precoce, mettendo una versione cinematografica in …